Glossario
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a
- accumulazione
È un procedimento retorico che consiste nell’accostamento di più parole, immagini o concetti. Se l’allineamento di termini è in forma disordinata, si parla di accumulazione caotica.
- afèresi
(dal greco apháiresis, che significa “sottrazione”). In linguistica, è la caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio di una parola, spesso per ragioni eufoniche o metriche. Alcuni esempi sono «state» per estate; «storia» per istoria; «vangelo» per evangelo.
- agnizione
(dal latino agnitiōne(m), che significa “riconoscimento”). Nella letteratura teatrale e romanzesca, indica la rivelazione, spesso finale, della vera identità di uno o più personaggi.
ESEMPIO ▶ In Grandi speranze di Charles Dickens, la scoperta dell’identità del padre di Estella.
- allitterazione
(dal latino umanistico allitteratione(m), che significa “allineamento di lettere”). È un procedimento stilistico, ricorrente soprattutto in poesia, che consiste nella ripetizione di suoni o di sillabe uguali o simili all’inizio di due o più parole successive.
ESEMPIO ▶ «Porpora de’ giardin, pompa de’ prato» (G.B. Marino, Adone, III, 158).
- anafora
(dal greco anaphorá, che significa “ripetizione”). Consiste nella ripetizione di una parola o di un gruppo di parole all’inizio di frasi o di versi successivi, per ribadire o enfatizzare un’immagine o un concetto.
ESEMPIO ▶ «[…] E quando ti corteggian liete / le nube estive e i zeffiri sereni, / e quando dal nevoso aere inquiete / tenebre» (U. Foscolo, Alla sera, vv. 3-6).
- analessi
(dal greco análōpsis, che significa “ripresa”). Consiste nell’introdurre, all’interno di un racconto, blocchi narrativi che si riferiscono a eventi passati e che hanno la funzione di fornire al lettore informazioni utili alla comprensione dello svolgimento della trama. È detta anche flashback.
- anacoluto
(dal greco anakòluthon, che significa “senza conseguente”). Si ha quando due costrutti si susseguono nello stesso periodo senza osservare le norme sintattiche.
ESEMPIO ▶ «quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 36).
- analogia
Vedi → metafora.
- anastrofe
(dal greco anastrophé, che significa “inversione”). Consiste nell’inversione dell’ordine abituale o normale di un gruppo di termini successivi. È una figura affine all’→ iperbato, ma non implica l’inserzione di un inciso fra i termini. È detta anche anteposizione.
ESEMPIO ▶ «Allor che all’opre femminili intenta / sedevi [...]» (G. Leopardi, A Silvia, vv. 10-11).
- amplificazione
(dal latino amplificare, che significa “fare ampio”). È un procedimento retorico che consiste nell’accentuazione di un concetto o di un’immagine, allo scopo di conferirle particolare evidenza o intensità. Si può ottenere mediante una concatenazione di termini che aggiungono nuovi particolari in successione.
ESEMPIO ▶ «descriveva come l’intricato laberinto delle gallerie si stendesse sotto i loro piedi all’infinito» (G. Verga, Rosso Malpelo).
- anfibologia
(dal composto greco amphibolía + lógos, che significa “discorso ambiguo, incerto”). È un discorso o un’espressione suscettibili di essere interpretati in modi diversi. Può essere stilisticamente neutra (per esempio l’espressione «il timore dei nemici», in cui solo il contesto può chiarire se il complemento di specificazione abbia valore soggettivo o oggettivo) oppure marcata, soprattutto in senso ironico-scherzoso.
- allegoria
(dal greco allegorèin, che significa “parlare in altro modo”). È un procedimento retorico per cui un contenuto concettuale viene espresso attraverso un’immagine che rappresenta una realtà del tutto diversa e autonoma rispetto al contenuto stesso. Opere come la Commedia di Dante o, per citarne di più vicine ai giorni nostri, come Il processo di Kafka o come l’Ulisse di Joyce, sono interamente costruite sul procedimento allegorico.
- antifona
Nell’antichità classica, è un canto eseguito da due voci tra loro in ottava, o anche l’uso di due motivi di cui il secondo attacca all’ottava della base. Nella liturgia cristiana, invece, è un breve canto che viene letto, oppure cantato, in alcuni momenti della messa.
- antonomasia
(dal greco antonomázein, che significa “cambiare nome”). Consiste nell’uso di un nome comune in luogo di un nome proprio o viceversa, quando si voglia indicare una qualità caratteristica di una persona o di una cosa.
ESEMPIO ▶ «Tartufo» per “ipocrita” (per via dell’omonima commedia di Molière).
- apostrofe
(dal greco apostréphein, che significa “volgere indietro”). È una figura retorica che consiste in un discorso diretto a una persona o a una cosa personificata, di solito con tono concitato o accorato, di affetto o di rimprovero.
ESEMPIO ▶ «O natura, o natura, / perché non rendi poi / quel che prometti allor? Perché di tanto / inganni i figli tuoi?» (G. Leopardi, A Silvia, vv. 36-39).
- archètipo
(dal composto greco arché + týpos, che significa “modello originale”). È lo schema immaginativo dell’inconscio collettivo che, secondo alcune teorie, si ripropone uguale in ogni uomo all’interno di una data cultura, formando quindi anche la base degli schemi artistici e letterari e dell’organizzazione dei simboli.
- asindeto
(dal greco asýndeton, che significa “senza legami”). Consiste nell’omettere la congiunzione copulativa tra parole formanti una serie, per dare maggior concisione e concitazione al discorso. ESEMPIO ▶ «Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 2).
- assonanza
(da assonare, nel senso di “avere un suono simile”). Con questo termine si designa la parziale omofonia di due o più versi. In particolare, si distinguerà un’assonanza semplice, che è l’uguale terminazione delle sole vocali dei versi (diffidi = audivi), un’assonanza della sola tonica (pietat = demandava) e un’assonanza atona (limo = toro). ESEMPIO ▶ «quel tempo della tua vita mortale, / […] / e tu, lieta e pensosa, il limitare» (G. Leopardi, A Silvia, vv. 2-5).
- antitesi
(dal greco antíthesis, che significa “contrapposizione”). È una figura retorica di tipo logico, che consiste nella contrapposizione di idee in espressioni contigue, variamente collegate fra di loro. Perché si possa parlare propriamente di antitesi, occorre che la contrapposizione sia specifica e operante all’interno di un medesimo campo semantico. Un tipo particolare di antitesi si trova nell’→ ossimoro.
ESEMPIO ▶ «o luce uscir di tenebroso inchiostro / o di spento carbon nascere arsura?» (G.B. Marino, La Lira, III, vv. 7-8).
- aposiopesi
(dal greco aposiōpesis, che significa “interruzione”). È l’artificio retorico della reticenza, e consiste nell’interrompere improvvisamente il discorso quando un tema è già stato annunciato o delineato e gli sviluppi impliciti sono facilmente prevedibili da parte del lettore. Può essere impiegata per evocare e sottolineare dubbi o minacce, o per una forma di ritegno allusivo aperto su conseguenze che per pudore o per orrore sembra meglio tacere.
ESEMPIO ▶ «C’entra il puntiglio; diviene un affare comune; e allora... anche chi è nemico della pace... Sarebbe un vero crepacuore per me, di dovere... di trovarmi... io che ho sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini...» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 19).
- adýnaton
(dal termine greco adýnaton, che significa “impossibile”). È una figura retorica che definisce un modo di argomentare. La struttura logica su cui si basa è questa: “se x è possibile, allora è possibile anche y”. L’adýnaton è un caso particolare di questa struttura: x è sempre impossibile, perché cozza contro le leggi di natura, dunque anche y è impossibile.
ESEMPIO ▶ «Chi potrà della gemina Dora, / […] / quello ancora una gente risorta / potrà scindere in volghi spregiati, / e a ritroso degli anni e dei fati, / risospingerla ai prischi dolor» (A. Manzoni, Marzo 1821, vv. 17-28).- antifrasi
(dal composto greco antí + phrázein, che significa “dire contro”). È una figura retorica per cui una voce viene ironicamente usata in senso opposto al suo vero significato.
ESEMPIO ▶ «Avete fatta una bella azione! M’avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! In casa sua! In luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza!» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 2).
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b
- ballata
È un componimento poetico collegato in origine alla consuetudine di accompagnare con il canto i movimenti della danza, diverso per schema metrico, per tematica e per ispirazione nelle varie letterature e nei vari periodi. La ballata antica, che si diffuse in Italia e Francia nel tardo Medioevo (e che va distinta dalla ballad inglese e scozzese) ebbe un carattere prevalentemente lirico, teso a un’espressione breve, intensa e colorita del sentimento, specialmente amoroso. È costituita da versi endecasillabi, spesso misti a settenari, ed è divisa in un numero variabile di strofe, ciascuna delle quali è preceduta dalla → ripresa, ovvero la strofa iniziale della ballata, dalla lunghezza variabile da uno a quattro versi. Ogni strofa è divisa in due piedi e una volta.
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c
- canzone
Il termine in sé allude genericamente a un componimento poetico a schema fisso, ma più spesso designa un particolare tipo di poesia presente nella letteratura italiana sin dalla scuola siciliana. È costituita da un numero variabile di stanze (di endecasillabi spesso misti a settenari), a loro volta costituite da una → fronte e da una → sirma di varia misura che, non di rado, è relata all’ultimo verso della fronte da una → rima che funge da concatenazione fra le due parti, detta chiave. Posta in chiusura, si può trovare (specialmente negli stilnovisti) una strofa di metro particolare che funge da commiato, in cui il poeta si congeda dalla canzone rivolgendosi allo stesso componimento.
- cesura
(dal latino caesōra(m), che significa “taglio”). In genere si chiama così ogni pausa voluta dal senso nel ritmo del verso, che viene così idealmente diviso in due unità chiamate → emistichi. Nella metrica quantitativa, è la pausa che cade dopo la fine di una parola ma sempre all’interno di un piede.
ESEMPIO ▶ «Vaghe stelle dell’Orsa // io non credea» (G. Leopardi, Le ricordanze, vv. 1-2).
- citazione
(dal latino citatione(m), che significa “richiamo”). Si tratta propriamente di una riproduzione testuale: è la ripresa di una parola oppure di una o più frasi di un autore, fatta da un altro autore in un proprio testo.
- climax
(dal greco klîmax, che significa “scala”). È una figura retorica che indica una progressione di parole che crescono di intensità (climax ascendente) o che decrescono di intensità (climax decrescente o anticlimax).
ESEMPIO ▶ «Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare» (G. Leopardi, L’infinito, vv. 13-15).
- coblas capfinidas
È un procedimento retorico introdotto dalla poesia trobadorica provenzale, per il quale l’ultima parola di una strofa (cobla in occitano) costituisce l’inizio (il cap, “capo”) di quella successiva.
ESEMPIO ▶ «…porto la tua figura. // In cor par ch’eo vi porti» (Iacopo da Lentini, Meravigliosamente, vv. 9-10).
- colon
(dal greco kólon, che significa “membro”). Il termine designa qualsiasi parte di una frase, di un periodo o di un verso che venga isolata dalle altre quando si proceda a un’analisi semantica o sintattica del discorso.
- cursus
Con questo termine latino si indica l’andamento ritmico del discorso in prosa, e in particolare della parte conclusiva della frase. È l’esito tardoantico-medievale della clausola di epoca classica.
- chiasmo
(dal nome della lettera greca chí, che ha la forma di una croce simile alla nostra X). È una figura retorica caratterizzata dall’ordine incrociato in cui sono disposti gli elementi corrispondenti di un enunciato collegati fra loro.
ESEMPIO ▶ «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori» (Ludovico Ariosto, Orlando furioso, I, 1, v. 1).
- circonlocuzione
Vedi → perifrasi.
- consonanza
(dal latino consonare, che significa “suonare insieme”). È un tipo di rima nella quale si ripetono i suoni consonantici a partire dalla vocale accentata.
ESEMPIO ▶ «sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi» (G. Leopardi, L’infinito, vv. 4-6).
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d
- dativo etico
Uso pleonastico del pronome personale (di prima persona) che serve a esprimere una particolare partecipazione emotiva di chi parla o scrive.
ESEMPIO ▶ «però vi priego che lo mi ’ntendiate» (Dante, Convivio, II, v. 9).
- deverbale
(dal latino verbum, con prefisso de-). Si dice di parola derivata da un verbo.
ESEMPIO ▶ Lavoratore da lavorare.
- diastole
(dal greco diastolé, che significa “messo in mezzo”). Nella metrica italiana, è lo spostamento anomalo dell’accento di una parola, determinato dalle esigenze ritmiche del verso.
ESEMPIO ▶ «abbraccia terre il gran padre Oceàno» (U. Foscolo, Dei Sepolcri, v. 291).
- diatesi
È la categoria che indica la relazione del verbo con il soggetto e l’oggetto. Si distingue in diatesi attiva (se il soggetto è attore o promotore dell’evento), diatesi passiva (se il soggetto è paziente) e diatesi media (se il soggetto è attore e paziente al tempo stesso, perché compie un’azione su se stesso o perché l’evento produce effetti sul soggetto).
- dieresi
(dal greco diáiresis, che significa “divisione”). Nella metrica classica, è la pausa del verso che si verifica quando la fine di un piede coincide con la fine di una parola. Nella poesia lirica, coincide spesso con la fine del colon.
ESEMPIO ▶ «e arriso pur di visïon leggiadre» (G. Carducci, Funere mersit acerbo, v. 10).- dislocazione a destra / a sinistra
Con quest’espressione s’intende lo spostamento di un costituente della frase dalla sua collocazione consueta a un’altra, a sinistra o a destra rispetto al verbo, per metterlo maggiormente in evidenza.
ESEMPIO ▶
• Tutti amano la musica (collocazione consueta);
• La musica, la amano tutti (dislocazione a sinistra);
• Tutti la amano, la musica (dislocazione a destra).- dittologia
(dal composto greco dittòs + lògos, che significa “doppio discorso”). È una coppia di termini (parole o sintagmi) collegati da una congiunzione (di norma e) che assume in poesia un valore semantico collegato a un effetto ritmico.
ESEMPIO ▶ «ei mi comanda / alte e nobili cose» (A. Manzoni, Adelchi, atto III, scena I, vv. 84-85).- dialefe
(dal greco dialéipein, che significa “separare”). È un fenomeno metrico che consiste nello iato tra due vocali consecutive, di cui la prima in fine di parola e la seconda all’inizio della parola successiva. È la figura opposta alla → sinalefe.
ESEMPIO ▶ «tant’era pien di sonno a quel punto» (Dante, Inferno, I, v. 11).
- domanda retorica
Domanda che non rappresenta una vera richiesta di informazione ma implica invece una risposta predeterminata, e in particolare induce a eliminare tutte le affermazioni che contrasterebbero con l’affermazione implicita nella domanda stessa.
ESEMPIO ▶ «E tu degnasti assumere / questa creata argilla?» (A. Manzoni, Il Natale, vv. 50-51)
-
e
- ex abrupto
È una locuzione latina che significa “all’improvviso”. Indica una figura che si presenta quando all’interno di una narrazione, all’improvviso e inaspettatamente, viene introdotto un fatto o un personaggio nuovo.
- explicit
(dalla formula di chiusura latina explicit liber). Indica l’ultima o le ultime parole, quelle che pongono fine a un testo, talvolta seguendo modelli fissi
- ellissi
(dal greco élleipsis, che significa “omissione”). Indica l’omissione, nella frase, di uno o più termini che sia possibile sottintendere. È frequente nei proverbi e nelle sentenze.
ESEMPIO ▶ «Ai posteri [toccherà] l’ardua sentenza» (A. Manzoni, Il cinque maggio, vv. 31-32).- emistichio
(dal greco hoˉ mistíchion, che significa “mezzo verso”). È ciascuna delle due parti in cui la cesura divide un verso. Per esempio l’endecasillabo, verso di undici sillabe metriche, può essere formato da due membri o emistichi che possono corrispondere a un quinario e a un senario piani («e questa siepe / che da tanta parte»; G. Leopardi, L’infinito, v. 2), o a un quaternario tronco e a un settenario («odo stormir / tra queste piante, io quello»; ivi, v. 9).
- enallage
(dal greco enallagé, che significa “cambiamento”). È una figura grammaticale che si basa sullo scambio di una parte del discorso con un’altra. Ottimi esempi sono la sostituzione del passato remoto con il presente narrativo, o di un avverbio con un aggettivo. Quando consiste nello spostamento di un aggettivo dalla sua posizione grammaticale corretta si identifica con l’ → ipallage.
ESEMPIO ▶ «Sparsa le trecce morbide /sull’affannoso petto» (A. Manzoni, Adelchi, atto IV, coro, vv. 1-2).- enclisi
(dal greco énklisis, che significa “inclinazione”). È il fenomeno per cui una parola atona (solitamente monosillaba, più raramente bisillaba) si appoggia nella pronuncia alla parola precedente formando una sola unità fonetica. Talvolta l’unione fra le due parole è espressa anche graficamente, con la caduta dello spazio di separazione. In italiano sono enclitiche le particelle pronominali atone mi, ti, si, ci, vi, lo, la, ne ecc.
- endiadi
(dall’espressione greca hèn dià dyôin, che significa “una cosa per mezzo di due”). È una figura retorica che esprime con due termini coordinati un unico concetto.
ESEMPIO ▶ «…Amaro e noia / la vita, altro mai nulla…» (G. Leopardi, A se stesso, vv. 9-10).- enfasi
(dal greco émphasis, “esibizione”). È una figura retorica che consiste nell’evidenziare e sottolineare con espressione accentuata un termine o una frase, in modo da renderne il significato pregnante e intenso.
ESEMPIO ▶ «Vissi e regnai; non vivo or più né regno» (T. Tasso, Gerusalemme liberata, XIX, 40, v. 6).- enjambement
(dal francese enjamber, che significa “oltrepassare, cavalcare”). È un procedimento metrico-sintattico che collega elementi lessicali al di là della misura canonica del verso. Ha due principali funzioni: frangere il ritmo del verso riducendo il “cantabile” e porre in risalto gli elementi interessati, specialmente quello d’inizio verso, che si chiama rigetto.
ESEMPIO ▶ «Omai disprezza / te, la natura, il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera» (G. Leopardi, A se stesso, vv. 13-15).- entrelacement
È una tecnica narrativa propria dei poemi cavallereschi, che consiste nel raccontare più vicende contemporaneamente, intersecandole tra loro. Un ottimo esempio di questo procedimento “a incastro” è dato dall’Orlando furioso di Ariosto.
- epanalessi
(dal greco epanálōpsis, che significa “ripetizione”). È una figura sintattica che consiste nel riprendere una parola o un sintagma, ripetendolo all’inizio di una frase per potenziare e rafforzare l’idea connessa.
ESEMPIO ▶ «Pregio non ha, non ha ragion la vita / se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto» (G. Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 80-81).- epifonema
(dal greco epiphōnêin, che significa “esclamare”). È un altro nome con cui si indica l’aforisma. Talvolta si chiama così la figura stilistica che consiste nel chiudere con una massima un discorso più ampio.
ESEMPIO ▶ «è funesto a chi nasce il dì natale» (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, v. 143).- epifora
(dal greco epiphorá, che significa “aggiunta”). È la figura speculare all’→ anafora, e consiste nel ripetere una parola o più parole alla fine di enunciati.
ESEMPIO ▶ «Più sordo, e più fioco / s’allenta, si spegne. / Sola una nota / ancor trema, si spegne, / risorge, trema, si spegne» (G. d’Annunzio, La pioggia nel pineto, vv. 75-79).- epifrasi
(dal greco epíphrasis, che significa “aggiunta”). È una figura logica che riguarda la disposizione delle parole, e che consiste nell’aggiungere a un enunciato un’amplificazione che ne potenzia la capacità espressiva, o ne specifica meglio il senso.
ESEMPIO ▶ «Dolce e chiara è la notte e senza vento» (G. Leopardi, La sera del dì di festa, v. 1).- epitalamio
(dal greco epithalámios hýmnos, che significa “canto nuziale”). Nella letteratura classica, è il carme nuziale cantato da un coro di ragazzi e ragazze alla sposa, la sera delle nozze. Il canto poteva essere accompagnato da movimenti di danza.
- epitesi
(dal greco epíthesis, che significa “sovrapposizione”). Indica l’aggiunta in fine di parola di un elemento non etimologico.
ESEMPIO ▶: «et nullu omo ène dignu te mentovare» (Francesco d’Assisi, Cantico delle creature, v. 4).- esegesi
(dal greco exōghêisthai, che significa “condurre” e quindi “spiegare”, “interpretare”). È l’interpretazione critica di un testo.
- eufemismo
(dal composto greco êu + phánai, che significa “dire bene”). È un procedimento espressivo che consiste nel sostituire parole o espressioni con altre di tono attenuato, per ragioni religiose o di convenienza sociale.
ESEMPIO ▶ «Vidi un nero, al mio piede / di terra ah! scavato il mattino» per dire “tomba” (G. Pascoli, Placido, vv. 28-29).
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f
- fabula
(dal latino fabula, che significa “favola”). È il complesso dei materiali che costituiscono la trama di una narrazione, considerati rigorosamente in successione logico-temporale, indipendentemente dall’ordine e dalla disposizione con cui l’autore li ha presentati nell’→ intreccio. È un’astrazione critica, non una creazione dell’autore.
- figura etimologica
È un accostamento di due parole con la stessa radice.
ESEMPIO ▶ «Onde è forza che il mendasquarci ti fidi la sua sfedata fede» (P. Aretino, Ragionamenti).- fonosimbolismo
È un procedimento di formazione di parole che esprimono attraverso i loro stessi suoni un’immagine, un fatto o una condizione astratta. È quasi sinonimo di → onomatopea, ma ha un’accezione più ampia, che include il potere meramente evocativo delle parole.
- fronte
Continua il latino frons, che significa “fronte”. È la prima parte della stanza (o della strofa) di una canzone.
- frottola
È, in letteratura, una forma di poesia popolare e musicata. In origine si trattava di una sequela disordinata di motti, sentenze e dichiarazioni in una serie di versi di vario tipo, sino all’endecasillabo, rimati in diverso modo. Aveva dunque le caratteristiche di un compo- nimento improvvisato, con intenzioni scherzose.
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g
- grottesco
È un genere letterario e teatrale inaugurato da L. Chiarelli nel 1916 con La maschera e il volto, e mette in scena situazioni paradossali deformate dall’ironia ed esasperate dal ricorso a elementi intellettualistici e allegorici.
-
h
- hýsteron próteron
(dall’omonima locuzione greca, che significa “l’ultimo per primo”). È una figura retorica che consiste nel rovesciare, in una frase, l’ordine temporale degli avvenimenti, mettendo così in risalto l’azione che viene a essere nominata per prima.
ESEMPIO ▶ «come il germe caduto in rio terreno, / e balzato dal vento» (A. Manzoni, Adelchi, atto III, scena I, vv. 89-90).
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i
- incipit
(continua l’omonimo termine latino che significa “comincia” sottinteso: “il libro”). Indica generalmente le prime parole con le quali si apre un testo. La sua espressione speculare è → explicit.
- in medias res
È una locuzione latina che significa “nel mezzo della narrazione”. Consiste nel cominciare il racconto non dall’inizio bensì dalla parte centrale o finale della narrazione, trasportando il lettore direttamente “nel mezzo” degli avvenimenti.
- inarcatura
Vedi → enjambement.
- interrogazione retorica
Vedi → domanda retorica.
- intreccio
È la trama, il racconto di un testo narrativo, così come lo presenta e lo sviluppa l’autore. Se la → fabula è la ricostruzione schematica delle fasi della narrazione in un ordine rigorosamente cronologico, l’intreccio ammette frequenti distorsioni temporali nella disposizione e nella successione dei fatti. Il racconto può subire salti, pause, intervalli; può procedere con una struttura in cui alcuni episodi sono anticipati, altri posticipati, altri ripresi nel corso della narrazione attraverso → analessi; può seguire criteri che deformano la concatenazione logica e naturale per inserire digressioni e dare spazio all’opinione del narratore, per rivestirsi di un significato allegorico e simbolico, per obbedire a esigenze di armonia compositiva.
- inversione
Vedi → anastrofe.
- ipallage
(dal greco hypallagé, che significa “spostamento”). È una figura retorica che consiste nello spostamento grammaticale e semantico della relazione di un aggettivo; l’aggettivo viene così ad essere riferito a un sostantivo del contesto diverso da quello a cui dovrebbe essere legato semanticamente.
ESEMPIO ▶ «…sorgon così tue dive / membra dall’egro talamo…» (U. Foscolo, All’amica risanata, vv. 7-8).- iperbato
(dal greco hypérbaton, che significa “trasposizione”). È una figura retorica che consiste nel modificare l’ordine consueto delle parole in una frase, interponendo fra due termini che sono in stretto legame sintattico fra loro un inciso, una parentesi o un’altra parola.
ESEMPIO ▶ «Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 1).- iperbole
(dal greco hyperbolō, che significa “lancio al di là”). È una figura retorica che consiste nell’esagerare, per eccesso o per difetto, un concetto oltre i limiti del verosimile.
ESEMPIO ▶ «Gli occhi tuoi pagheran (s’in vita resti) / di quel sangue ogni stilla un mar di pianto» (T. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, ottava 59, vv. 3-4).- ipostasi
(dal greco hypóstasis, che significa “sostanza”). È un procedimento retorico che consiste nella concretizzazione o nella personificazione di un concetto astratto. Vedi → prosopopea.
- iterazione
È una figura retorica che produce una successione di membri uguali o solo leggermente variati nella forma, nella funzione sintattica o nel senso. Sul meccanismo dell’iterazione si fondano molte figure di parole, come l’→ anafora, l’→ anadiplosi, l’→ epanalessi, l’→ epifora, la → climax.
-
l
- lassa
(dal francese laisse, che significa “legame lento”). È la strofa della poesia epica medievale romanza, composta da un numero variabile di versi decasillabi o dodecasillabi legati da rima o da assonanza. Poco usata nella letteratura italiana, se non in alcune opere delle origini, quali il Ritmo di Sant’Alessio e il Ritmo cassinese, fu ripresa in componimenti di gusto arcaicizzante da Pascoli, Carducci, d’Annunzio.
- latinismo
È una parola, un’espressione o un costrutto propri del latino, adottati in un’altra lingua. In particolare, indica una parola tratta dal latino letterario e introdotta in una lingua romanza a un certo punto della sua storia con i minimi necessari adattamenti fono-morfologici. Ne sono esempi i sostantivi bis, virus, rebus, agenda.
- litote
(da litós, che significa “semplice”). È una figura di pensiero che afferma mediante la negazione del contrario. Spesso è una perifrasi eufemistica in cui si ammorbidisce l’asprezza di un’espressione. Può produrre un effetto ironico. ESEMPIO ▶ «Don Abbondio [...] non era nato con un cuor di leone» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 1).
-
m
- madrigale
Si tratta di un breve componimento poetico in endecasillabi o in endecasillabi e settenari, di contenuto generalmente amoroso, rusticano e pastorale, soprattutto in uso dal XIV al XVII secolo. In origine aveva uno schema metrico fisso (due o tre terzine di endecasillabi seguite da uno o due distici a rima baciata).
- metafora
(dal greco metaphorá, che significa “mutamento”). È una figura retorica paragonabile a una → similitudine abbreviata, per la quale a un termine proprio si sostituisce un altro termine legato al primo da un rapporto di somiglianza.
ESEMPIO ▶ «…Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi / in così verde etate! Ahi, per la via…» (G. Leopardi, La sera del dì di festa, vv. 23-24).- metàtesi
(dal greco metáthesis, che significa “spostamento”). È una figura grammaticale che consiste nell’invertire l’ordine di successione dei suoni in una parola.
ESEMPIO ▶ «il troppo stroppia» per “storpia”- metonìmia
(dal greco metōnymía, che significa “scambio di nome”). È una figura retorica caratterizzata dalla sostituzione di un termine con un altro che abbia con il primo un rapporto di contiguità. In particolare, consiste nell’usare il nome:
• della causa per quello dell’effetto
ESEMPIO ▶ «di trista vergogna si dipinse» per dire “rossore” (Dante, Inferno, XXIV, v. 64);
• del contenente per il contenuto
ESEMPIO ▶ «Bere un bicchiere» per intendere il liquido;
• dell’autore per l’opera
ESEMPIO ▶ «Leggiamo Dante» per dire “la Commedia”;
• della materia per l’oggetto
ESEMPIO ▶ «sol con un legno» per indicare la nave (Dante, Inferno, XXVI, v. 101);
• del simbolo per la cosa designata
ESEMPIO ▶ «per altra spada» per dire “per altri dolori” (Dante, Purgatorio, XXX, v. 57);
• dell’astratto per il concreto
ESEMPIO ▶ «confidare nell’amicizia» per dire “negli amici”.
-
o
- omoteleuto
(dal greco homoiotéleutos, che significa “desinenza simile”). È un procedimento retorico che consiste nel far terminare allo stesso modo, nel suono o nella metrica, le parti di un periodo simmetricamente contrapposte. ESEMPIO ▶ «Gaude, carissimo mio, l’anima mia nel prezioso utilissimo» (Guittone d’Arezzo, Lettera a Bonagiunta).
- onomatopea
(dal composto greco ónoma + poiêin, che significa “io faccio nome”). È una figura retorica che riproduce, mediante i suoni di una parola, un suono naturale. Molti verbi sono onomatopeici, come gracchiare, strisciare, bisbigliare… ESEMPIO ▶ «che un giorno ho da fare tra stanco / don don di campane» (G. Pascoli, Nebbia, v. 24).
- ossimòro
(dal greco oxýmōros, che significa “che è acuto sotto un’apparente stupidità”). È una figura logica che, comprendendo due termini congiunti di significato opposto, forma una coppia di parole antitetiche che sembrano escludersi una con l’altra.
ESEMPIO ▶ «E ’l naufragar m’è dolce in questo mare» (G. Leopardi, L’Infinito, v. 15).
-
p
- parabola
(dal verbo greco parabállein, che significa “mettere accanto”). È un racconto, frutto di invenzione ma verosimile, che tende a chiarire un argomento difficile accostandolo a un argomento di facile comprensione desunto dalla natura o dalla vita reale. Ha uno scopo didattico e racchiude sempre un significato morale.
- paradosso
(dal greco parádoxon, che significa “contro l’opinione comune”). È l’affermazione, l’opinione, la tesi che, nonostante sia in contrasto con l’esperienza comune, si dimostra di fatto fondata.
ESEMPIO ▶ «gli ultimi saranno i primi» (Mt 20, 16).- parallelismo
Qualsiasi figura retorica che consista nella disposizione in parallelo di suoni, parole, forme grammaticali e cadenze ritmiche. Figure e fenomeni di parallelismo possono essere l’→ anafora, l’→ epifora, l’→ omoteleuto.
- parodia
(dal greco parōidía, che significa “canto accanto”). Il termine indica, in letteratura, un comportamento che imita in modo deformato un testo o un gruppo di testi conosciuti, spesso con intenzioni burlesche o satiriche.
- paronomàsia
(dal greco paronomasía, che significa “denominazione accanto”). È una figura retorica che consiste nell’accostare parole di suono uguale o molto simile, ma di significato differente.
ESEMPIO ▶ «Un gaudio amaro che all’amor somiglia» (A. Manzoni, Adelchi, atto IV, scena 1, v. 169).- perifrasi
(dal greco períphrasis, “discorso intorno”). È un “giro di parole” che si usa per spiegare meglio un concetto o per evitare di esprimerlo direttamente. Si dice anche circonlocuzione.
ESEMPIO ▶ «troppo ardente talvolta splende l’occhio del cielo» (W. Shakespeare, Sonetti, XVIII, v. 5).- personificazione
Vedi → prosopopea.
- plazer
(dal provenzale, e significa “piacere”). È un genere poetico diffuso tra i trovatori, in cui il poeta elenca una serie di cose o spettacoli piacevoli e si augura che tocchino in sorte a se stesso, ai propri amici o alla donna amata. Ne è un ottimo esempio il sonetto Guido, i’ vorrei di Dante.
- pleonasmo
(dal greco pleonasmós, che significa “sovrabbondanza”). È una ridondanza verbale per la quale uno o più elementi non aggiungono nulla al significato dell’espressione impiegata.
ESEMPIO ▶: «a me mi».- poliptòto
(dal greco polýptōtos, che significa “dai molti casi”). È una figura retorica che consiste nell’usare lo stesso vocabolo a breve distanza con funzioni morfo-sintattiche differenti.
ESEMPIO ▶ «a la terra s’appressa: e questa ride / di riso ancor non conosciuto» (G. Parini, Meriggio, vv. 276-277).- polisemia
(dal greco polýsōmos, che significa “dai molti significati”). È la proprietà di un segno linguistico che ha differenti significati.
ESEMPIO ▶ «Et però le testuggine e’ tartufi / m’hanno posto l’assedio alle calcagne» (Burchiello, Sonetti, X, vv. 9-10).- polisindeto
(dal greco polysýndetos, che significa “legato insieme”). Consiste nella frequente ripetizione della congiunzione copulativa tra parole che formano una serie.
ESEMPIO ▶ «...e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni e la presente / e viva, e il suon di lei…» (G. Leopardi, L’infinito, vv. 11-13).- preterizione
(dal latino praeteritiōne(m), che significa “omissione”). Consiste nell’affermare che si ometterà di parlare di qualcosa o di qualcuno, che viene poi in realtà nominato o indicato. Nel discorso quotidiano vengono usate molte formule di preterizione che hanno funzione di accentuare, anziché di nascondere come vorrebbero far sembrare.
ESEMPIO ▶ «Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 1).- priamel
È uno schema retorico che consiste nel passare in rassegna oggetti o valori tra loro diversi, al fine di dimostrare la superiorità di quelli proposti rispetto a quelli ritenuti convenzionali.
ESEMPIO ▶ l’Ode ad Anattoria (Frammento 16) di Saffo.- prolessi
(dal greco prólōpsis, che significa “anticipazione”). È una figura sintattica che consiste nell’anticipazione di una parte della proposizione o del periodo che segue, che secondo il modello normale dovrebbe trovarsi in posizione successiva, per mettere in evidenza il valore di un concetto o di una parola. In ambito narrativo, invece, è l’anticipazione di un evento che verrà sviluppato nel corso della narrazione, e dunque è la figura speculare all’→ analessi.
ESEMPIO ▶ «La morte è quello / che di cotanta speme oggi m’avanza» (G. Leopardi, Le ricordanze, vv. 91-92).- prosillogismo
- In logica, è un sillogismo la cui conclusione costituisce la premessa di un sillogismo successivo.
- prosimetro
È un’opera letteraria che alterna la prosa alla poesia come per esempio la Vita nova di Dante.
- prosopopea
(dal greco prosōpopoiía, che significa “personificazione”). Consiste nel far parlare (e quindi nel raffigurare come persone) entità astratte o esseri inanimati. È detta anche personificazione.
ESEMPIO ▶ «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?» (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 1-2).
-
r
- razo
È un breve scritto in prosa che accompagna, nei manoscritti, alcune poesie trobadoriche, illustrandone il contenuto e chiarendone il significato. Nel Duecento si sentiva il bisogno di apparati di questo tipo, dal momento che nel testo erano disseminati riferimenti storici, geografici e personali non immediatamente comprensibili al pubblico che li leggeva o li ascoltava.
- rima
Deriva dal latino rhytmus e allude, almeno in origine, a un impiego dedicato a generi bassi o popolari: quelli, comunque, che non utilizzavano la metrica quantitativa. La rima consiste nella completa omofonia delle parole terminali di due o più versi dall’ultima vocale tonica in poi, e trova il suo impiego rigoroso e sistematico a partire dall’XI secolo, con la poesia dei trovatori. Ci sono molti tipi di rima che rispondono a diversi artifici, dei quali i più noti sono:
• Rima univoca, quando le terminazioni hanno lo stesso suono e lo stesso significato.
ESEMPIO ▶ «Ennantir sì, che ’l piagar quasi a morte / […] / e perdonò lor morte» (Guittone d’Arezzo, Ahi lasso, or è stagion, vv. 40 e 44).
• Rima equivoca, quando le terminazioni hanno lo stesso suono ma differente valore semantico.
ESEMPIO ▶ «che ’l fa gir oltra dicendo: oimè lasso! // Poi, ripensando al dolce ben ch’io lasso» (F. Petrarca, Canzoniere, 15, vv. 4-5).
• Rima derivativa, quando una delle terminazioni ne contiene in sé un’altra di uguale etimologia.
ESEMPIO ▶ «lo spirito che porto / […] und’eo mi sporto» (Guido delle Colonne, Ancor che l’aigua per lo foco lassi, vv. 58 e 62).
• Rima composita (o franta), quando una rima è prodotta dalla somma di due parole.
ESEMPIO ▶ «Cercando lui tra questa gente sconcia / […] / e men d’un mezzo di traverso non ci ha» (Dante, Inferno, XXX, vv. 5 e 87).
• Rima imperfetta, quando il suono tra due o più parole non è perfettamente uguale. Casi di rima imperfetta sono → assonanza e → consonanza.
• Rima siciliana: trae spunto dalla stessa fonetica siciliana, che non ha nel proprio sistema linguistico la differenza tra vocali aperte e chiuse ma conosce solo vocali aperte.
ESEMPIO ▶ «Sanza mia donna non vi vorìa gire / […] / ché sanza lei non poteria gaudere» (Iacopo da Lentini, Io m’aggio posto in core, vv. 5 e 7).
• Rima interna, quando la rima cade all’interno del verso.
ESEMPIO ▶ «un mazzolin di rose e viole, / onde, siccome suole, ornare ella si appresta » (G. Leopardi, Il sabato del villaggio, vv. 4-5).- ripresa
È la strofa introduttiva della ballata, lunga non più di quattro versi, nella quale è annunciato il contenuto sviluppato in seguito nelle stanze. Veniva cantata all’inizio della ballata e poi ripetuta dopo ogni stanza.
- rizotonico
Si dice di vocabolo che ha l’accento su una vocale della radice. Si contrappone a rizoatono.
-
s
- senhal
Con questo termine provenzale si indica lo pseudonimo, il soprannome che il poeta usa per indicare la donna che ama, al fine di tenerne segreto il nome vero.
ESEMPIO ▶ «Volpe» è il senhal impiegato da Montale per indicare la poetessa Maria Luisa Spaziani- sillogismo
(dal greco sylloghismós, che significa “deduzione”). È la forma fondamentale dell’argomentazione logica, definita per la prima volta da Aristotele e costituita da tre giudizi (o preposizioni) collegati tra loro in modo tale che, posti due di essi come premesse, ne segue necessariamente un terzo come conclusione.
ESEMPIO ▶ • Tutti gli animali sono mortali (premessa);• Tutti gli uomini sono animali (premessa);
• Tutti gli uomini sono mortali (conclusione).
- similitudine
(dal latino similitudine(m), che significa “simile”). Consiste nel confrontare fra di loro esseri animati o inanimati, cose, azioni, avvenimenti, sensazioni ecc., per cogliere i caratteri e gli aspetti che essi hanno in comune. Lo scopo può essere quello di chiarire un insieme di concetti accostandolo a un altro insieme.
ESEMPIO ▶ «…Come sul capo al naufrago / l’onda s’avvolve e pesa / l’onda su cui del misero, / alta pur dianzi e tesa / Scorrea la vista a scerner / prode remote invan; / Tal su quell’alma il cumulo / delle memorie scese» (Manzoni, Il cinque maggio, vv. 61-68).- sinafia
(dal greco synápheia, che significa “congiunzione”). È un fenomeno metrico per cui un verso si fonde con quello che segue: più precisamente, ciò avviene nel verso ipermetro, dove la sillaba finale si unisce alla sillaba iniziale del verso successivo. È un caso particolare di → sinalefe.
- sinalefe
(dal greco synaloiphé, che significa “fusione”). Consiste nella fusione di due vocali, o dittonghi, una alla fine di una parola e l’altra all’inizio della parola seguente, come se fossero un’unica sillaba. È detta anche sinecfonesi ed è il contrario della → dialefe.
ESEMPIO ▶ «mi ritrovai per una selva^oscura» (Dante, Inferno, I, v. 2).- sineddoche
(dal greco synekdéchesthai, che significa “accogliere insieme”). È un particolare tipo di → metonimia, riferito al concetto di quantità o estensione. Consiste nel nominare la parte per il tutto o viceversa; il singolare per il plurale o viceversa; la specie per il genere o viceversa; la materia per l’oggetto ecc.
ESEMPIO ▶ «…E quando ti corteggian liete / le nubi estive e i zeffiri sereni» (U. Foscolo, Alla sera, vv. 3-4).- sinèresi
(dal greco synáiresis, che significa “restringimento, riduzione”). Contrariamente alla → dieresi, si ha quando due o più vocali, costituenti di solito due sillabe diverse, vengono considerate come una sola sillaba.
ESEMPIO ▶ «Farinata e ’l Tegghiaio [bisillabo], che fuor sì degni» (Dante, Inferno, VI, v. 79).- sinestesia
(dal greco synáisthōsis, che significa “sensazione simultanea”). Consiste nell’associare due parole appartenenti a sfere sensoriali diverse. È una particolare forma di → metafora in cui il trasferimento di significato avviene da un dominio sensoriale a un altro.
ESEMPIO ▶ «Ma per le vie del borgo / dal ribollir de’ tini / va l’aspro odor de i vini / l’anime a rallegrar…» (G. Carducci, San Martino, vv. 5-8).- sirma
(dal provenzale antico sirventes, che significa “servente”, sottinteso: “canto del”). È un componimento di argomento morale, politico, didattico o satirico. A differenza della → canzone, che parla prevalentemente d’amore ed è dotata per lo più di una melodia originale composta espressamente per quel testo, il sirventese adotta nella maggior parte dei casi una melodia ricavata da una poesia più antica presa come modello. Il nome potrebbe avere origine da questa caratteristica formale: in questo senso, quindi, il sirventese “si serviva” della struttura metrica e musicale del modello.
- sistole
(dal greco systolé, che significa “restringimento, contrazione”). All’interno di un verso, è lo spostamento dell’accento metrico verso l’inizio della parola per ragioni di ritmo o di rima. Il contrario della sistole è la → diastole, in cui l’accento viene spostato verso la fine della parola.
ESEMPIO ▶ «la notte ch’io passai con tanta pièta» (Dante, Inferno, I, v. 21).- sonetto
(dal provenzale sonet, che significa “piccola melodia”). È la forma metrica che più caratterizza la poesia italiana fino all’Ottocento e a partire dalla produzione poetica della cosiddetta “scuola siciliana”. Il sonetto, nella sua versione originale, è composto da due membri strofici legati fra loro con vari espedienti retorico-metrici: due quartine a rime alternate (ABAB, ABAB, poi, a partire dagli stilnovisti, anche a rima incrociata ABBA, ABBA) e due terzine con schema variabile (CDE, CDE oppure CDC, CDC). Il verso principale impiegato è l’endecasillabo (nonché l’esclusivo, fino ai sonetti di Cino da Pistoia).
- stereotipo
(dal composto greco stereòs + týpos, che significa “modello fermo, stabile”). È una formula linguistica precostituita utilizzata in antitesi all’invenzione, e di solito rimanda a un cliché ideologico.
- stile nominale
È uno stile in cui la scelta del nome, unita a quella dell’aggettivo e dei verbi in modi in non finiti, prevale sulla scelta del verbo di modo finito, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo, nel senso che il nome assume funzioni normalmente svolte dal verbo.
- stilema
Con questo termine si allude al particolare costrutto formale o al particolare procedimento stilistico tipico di un autore, caratterizzante pertanto in modo emblematico il suo linguaggio o la sua opera.
-
t
- tenzone poetica
Nella letteratura medievale, è lo scambio di componimenti poetici tra autori in contesa (talora scherzosa) intorno ad argomenti amorosi, politici o morali. Un ottimo esempio è dato dalla tenzone tra Guido Guinizelli e Bonagiunta Orbicciani.
- terza rima
È la più breve strofa della poesia italiana, ed è composta da tre endecasillabi, dei quali il primo rima con il terzo, il secondo con il primo e con il terzo della terzina seguente e così via: la serie è chiusa da un verso che rimane isolato e che fa rima con il verso di mezzo dell’ultima terzina (schema: ABA, BCB. CDC, …, YZY, Z); quindi ogni rima, salvo la prima e l’ultima, ritorna tre volte. È detta terzina dantesca perché Dante l’adottò per la Commedia, al cui trialismo è perfettamente intonata.
- terzina
Vedi → terza rima.
- terzina dantesca
Vedi → terza rima.
- topos
(dal greco tópos, che significa “luogo” e, in retorica, “luogo comune”). È un tema o un argomento ricorrente, organizzato secondo forme convenzionali e immagini stereotipate, ripreso con frequenza in letteratura come materiale di sicuro effetto e di immediato reperimento.
- trobar clus / trobar leu
Per indicare lo stile difficile, ermetico, di una parte della poesia dei trovatori si adopera comunemente la locuzione trobar clus, che significa “comporre chiuso, difficile”. Viceversa, per indicare lo stile piano, facilmente comprensibile, di poeti come Bernart de Ventadorn e Jaufré Rudel, si adopera comunemente la locuzione trobar leu, che significa “poetare leggero”. Non bisogna però pensare a due stili o a due poetiche nettamente contrapposte: sono solo due modi di far poesia che si possono distinguere in base all’uso del linguaggio, ch’è opaco e arduo nel caso del trobar clus e fluido e trasparente nel caso del trobar leu.
- truismo
(dall’inglese true, che significa “vero”). È una verità ovvia, una banalità.
-
z
- zeppa
(dal longobardo zeppa, che significa “cuneo”). È una frase o parola che funge, in prosa come in poesia, da riempitivo privo di significato. Vedi → pleonasmo.
- zèugma
(dal greco zêugma, che significa “congiuntura”). È una procedura ellittica che consiste nel creare legami o dipendenze fra elementi del discorso tali da produrre incongruenze semantiche o sintattiche.
ESEMPIO ▶ «parlare e lagrimar vedrai insieme» (Dante Alighieri, Inferno, XXXIII, v. 9).