Eugenio Oneghin
Il sogno di Tatiana
La famiglia Larin è «una famiglia nella tradizione / russa, piena di cure e rispetto», e le due figlie, Olga e Tatiana, hanno tutta l’ingenuità e la purezza di questo mondo popolare. Tatiana, inoltre, è una lettrice appassionata: amante dei romanzi sentimentali dell’epoca – Pamela di Richardson, La nuova Eloisa di Rousseau e il Werther – si sente simile a una delle loro eroine e, invaghitasi di Oneghin al primo sguardo, gli dichiara candidamente il suo amore in una lettera che è un collage di frasi tratte dai romanzi dell’epoca. Ma il giovane, che si sente incapace di provare altro che indifferenza, la respinge con freddezza. Qualche tempo dopo, la notte prima di una festa da ballo in cui i due si incontreranno di nuovo, Tatiana fa uno strano sogno.
X |
Seguendo il buon consiglio della njanja1, | ||
per avere il responso delle fate, | ||
ha in segreto ordinato la mia Tania2 | ||
d’apparecchiar nel bagno due posate, | ||
prima di mezzanotte; ma il terrore | ||
l’assale a un tratto... eppure anch’io nel cuore, | ||
pensando a quello che accadde a Svetlana, | ||
ho una certa paura; di Tatiana | ||
è meglio non conoscere il domani. | ||
S’è sganciata la serica3 cintura, | ||
s’è svestita, va a letto e nella pura | ||
sua testolina stende Amor le mani. | ||
Dorme d’un sonno placido ed eguale, | ||
e lo specchietto è sotto il suo guanciale4. |
XI |
Sogna Tatiana un sogno portentoso. | ||
Sogna: le sembra d’essersi avviata | ||
tutta sola per un campo nevoso, | ||
in una triste nebbia sprofondata; | ||
ed ecco fra la neve, ribollente | ||
d’onde e di schiume, cupo, un gran torrente, | ||
all’improvviso si vede di fronte, | ||
non ancora gelato. Solo un ponte | ||
di pertiche, marcito e vacillante, | ||
incatenato dal ghiaccio, serviva | ||
a passare dall’una all’altra riva, | ||
attraverso quel vortice mugghiante. | ||
Tatiana s’arrestò, lo sguardo fisso, | ||
perplessa e spaventata, sull’abisso. |
XII |
Come un destino avverso ella il torrente | ||
maledice ed osserva se non scorga | ||
chi, per farla passar sicuramente | ||
sull’altra sponda, una mano le porga. | ||
Ma un cumulo di neve tutto a un tratto | ||
s’è messo in movimento: quatto quatto | ||
s’apre la strada fuori dalla tana | ||
un enorme e arruffato orso. Tatiana | ||
grida: l’orso ruggisce e la vellosa5 | ||
zampa le porge. Si fa cuor pian piano | ||
Tania, vi appoggia la tremante mano | ||
e a passi incerti infin la paurosa | ||
cateratta6 attraversa. Crede adesso | ||
d’essere salva – e che? l’orso l’è presso. |
XIII |
Affretta il passo allora e di voltarsi | ||
indietro non le basta più il coraggio; | ||
sente che non potrà più liberarsi | ||
di quel velloso e petulante paggio7. | ||
Ansando e brontolando la bestiaccia | ||
implacabile segue la sua traccia. | ||
A un bosco s’avvicinano; i bei pini | ||
sono aggrondati e immoti, i rami chini | ||
sotto i candidi fiocchi. Su, attraverso | ||
le nude cime dei frassini e delle | ||
bianche betulle, brillano le stelle. | ||
Non c’è traccia di via. Tutto ha sommerso | ||
la bufera: le macchie, le scarpate | ||
sono giù nella neve sprofondate. |
XIV |
Tatiana entra nel bosco, ed insistente, | ||
l’orso la segue. Affonda ella avanzando | ||
nella morbida neve; ora repente8 | ||
le sferza il collo un ramo, via strappando | ||
dal suo orecchio con forza un orecchino; | ||
ora trascina a stento il suo piedino | ||
la scarpetta slegata; ora le preme | ||
il fazzoletto raccattare e teme | ||
di rigirarsi. Sente che l’investe | ||
il greve fiato della belva ansante, | ||
e si vergogna con la man tremante | ||
di sollevare il lembo della veste. | ||
Corre, e la belva appresso; già il terreno | ||
le sfugge; è ormai vicina a venire meno. |
XV |
E corri, corri, infine, ecco, è caduta | ||
nella neve; ma l’orso destramente9 | ||
la solleva e la porta. Ferma, muta, | ||
senza prendere fiato, obbedïente | ||
Tatiana s’abbandona. Nella selva | ||
tenebrosa si fa strada la belva, | ||
quando a un tratto, fra la boscaglia folta, | ||
una capanna misera, sepolta | ||
fra i cumuli di neve, a loro appare. | ||
Viene una luce fuor da un finestrino | ||
e dall’interno il chiasso d’un festino. | ||
L’orso dice: «Qui abita il compare; | ||
ti potrai riscaldare», e appena dette | ||
queste parole in terra la rimette. |
XVI |
Ritorna in sé Tatiana e guarda intorno. | ||
L’orso è sparito ed essa è sull’entrata: | ||
di dentro un gran vociare come, in giorno | ||
di funebre banchetto, un’adunata. | ||
Ella non sa che avvenga; a una fessura | ||
della porta ora spia e di paura | ||
le si ferma il respiro a quel che vede, | ||
ché una schiera di mostri a mensa siede: | ||
uno è cornuto ed ha il muso canino; | ||
un secondo ha la testa di galletto; | ||
qui una strega con barba di capretto, | ||
là un nano con la coda e più vicino | ||
uno scheletro altero e soddisfatto | ||
di sé, ed un mostro tra la gru ed il gatto. |
XVII |
Ed anche più terribile, più strano: | ||
un gambero d’un ragno a cavalcione; | ||
sopra il collo d’un’oca un teschio umano | ||
coperto da un vermiglio10 berrettone; | ||
un mulino che balla e butta avanti | ||
le gambe e l’ali muove scricchiolanti; | ||
fischi, canti, risate, abbaiamenti, | ||
scalpitìo di cavalli e umani accenti!11 | ||
Ma che pensa Tatiana, nell’orrendo | ||
e spettrale convegno la figura | ||
di quei che l’è sì caro e l’impaura12, | ||
l’eroe del mio romanzo, rivedendo? | ||
Siede al tavolo Eugenio e tratto tratto | ||
verso la porta guarda di soppiatto. |
XVIII |
Al suo cenno ubbidisce la brigata: | ||
egli beve ed ognuno vuota il gotto13, | ||
ride e l’accolta14 è tutta una risata, | ||
aggrotta il ciglio e nessuno fa motto. | ||
È chiaro che di tutti egli è il signore. | ||
E questo toglie a Tatiana il suo terrore; | ||
di vedere che avviene ormai curiosa, | ||
socchiude la porta, ecco, già osa... | ||
Ma un gran colpo di vento in quell’istante | ||
penetra dentro e spegne la lumiera. | ||
S’agita degli spiriti la schiera, | ||
mentre Eugenio, lo sguardo scintillante, | ||
balza in piedi, facendo un gran fracasso, | ||
e subito alla porta volge il passo. |
XIX |
Quale orrore! Tatiana in fretta in fretta | ||
vuol fuggire e la forza le vien meno; | ||
da ogni parte impaziente ella si getta; | ||
vuole gridare, ma le muore in seno | ||
la voce. Intanto Eugenio apre la porta | ||
e a lui e insieme all’infernale scorta15 | ||
appare la fanciulla; uno sfrenato | ||
scoppio di risa suona d’ogni lato. | ||
Gli occhi, le corna, le rapaci zanne, | ||
le proboscidi adunche, i rostri16, i denti, | ||
le ossute code, le sanguinolenti | ||
viscide lingue, le bramose canne, | ||
tutto le si fa intorno e una sol voce: | ||
«È mia, è mia!» risuona alta e feroce. |
XX |
«È mia!» ribatte Eugenio minaccioso | ||
e in un baleno la banda scompare. | ||
Tania nell’antro freddo e tenebroso | ||
resta sola con lui. Senza parlare | ||
l’attira egli in un angolo e tremante | ||
l’adagia su una panca traballante, | ||
e poi la testa piega lentamente | ||
sulla spalla di lei. Subitamente | ||
si fa di nuovo luce e nella stanza | ||
entra insieme con Olga Vladimiro17. | ||
Scuote la mano Eugenio e volge in giro | ||
gli occhi selvaggi e pieno d’arroganza | ||
si scaglia contro gli ospiti. Impaurita | ||
giace Tatiana quasi senza vita. |
XXI |
La lite si fa sempre più violenta; | ||
prende Eugenio un coltello e schiumeggiante | ||
d’ira contro l’amico, ecco, s’avventa... | ||
Cade quello. Si fa buio; straziante | ||
suonò un grido... la casa traballò... | ||
e pel terrore Tania si svegliò... | ||
Guarda intorno: la stanza è rischiarata: | ||
traverso il cielo già sulla vetrata, | ||
gioca dell’alba il raggio porporino. | ||
S’apre la porta ed Olga, più leggera | ||
della rondin che arriva a primavera, | ||
più vermiglia del sole mattutino | ||
nel settentrione, l’è di volo a lato, | ||
e «Dimmi – chiede – che cos’hai sognato?» |
Metro: strofe composte da quattordici versi.
UN SOGNO PREMONITORE Tania (vezzeggiativo di Tatiana) è una ragazza semplice, legata alle abitudini della cultura popolare: il brano ci fa capire infatti che ha fiducia nei segni e nei riti della tradizione. Per sapere cosa le riserva il futuro, la ragazza allestisce, aiutata dalla njanja (la tata, custode dei valori del passato) un piccolo rito casalingo per evocare le forze soprannaturali. Nella strofa X si parla di Fate, ma l’armamentario utilizzato (il pasto allestito nel bagno, ovvero fuori dalla casa, dove non ci sono immagini sacre; il gesto di togliersi la cintura; lo specchio sotto il guanciale) fa pensare piuttosto a un’evocazione di forze demoniache. Un sogno premonitore giunge così nella notte a Tatiana, ma è un sogno ambiguo, che la ragazza non riesce a interpretare. Nel folklore russo il torrente da attraversare simboleggia generalmente l’uscita dalla giovinezza e il matrimonio, e l’orso può essere interpretato come una figura protettrice, segno di potenza e di fertilità. Il pranzo nuziale che attende Tatiana, però, sembra piuttosto un banchetto funebre, popolato da mostri di ogni genere; tra loro spicca l’inafferrabile uomo amato, Eugenio. E lo spaventoso finale del sogno, con l’omicidio di Lenski, preannuncia sul serio quanto accadrà la sera del ballo, quando Eugenio ucciderà il suo amico per una ragione del tutto futile.
IL DUELLO È il ballo, infatti, l’evento che decide la sorte dei protagonisti. Infastidito per essere stato trascinato a un festino provinciale, e ancora turbato per la dichiarazione di Tatiana, Oneghin si vendica prima facendo la caricatura di tutti i commensali e poi invitando più volte a ballare Olga, la fidanzata del suo amico. Lenski, sconvolto dalla gelosia e dal dispetto, sfida a duello Oneghin, e i due, pur consapevoli di quanto sia sciocco il motivo del loro scontro, si affrontano il mattino successivo. Lenski muore, Oneghin fugge, incapace di trovare pace. Solo molti anni dopo rivedrà Tatiana. Diventata una dama del gran mondo, dopo le nozze con un rispettato generale, Tatiana conserva ancora la sua sensibilità di ragazza e si strugge di dolore quando Oneghin le dichiara finalmente il suo amore. Ma è troppo tardi ormai: «Perché fingere? V’amo. Ora sapete. / Ma ad un altr’uomo è la mia sorte unita: / sarò fedele a lui tutta la vita».
TEMI FOLKLORICI E LESSICO POPOLARE L’Oneghin è punteggiato da note dell’autore, che prendono in giro i critici del suo tempo. Nelle note che accompagnano il racconto del sogno di Tatiana, come si è visto, Puškin reagisce alle critiche che gli erano state mosse («Nelle riviste è stato criticato l’uso delle parole chlop, molv, e top come innovazione infelice»), perché aveva utilizzato termini troppo colloquiali. L’amore di Puškin per la cultura russa tradizionale si manifestava infatti non soltanto nella ripresa di temi folklorici, canzoni o fiabe, ma anche nell’uso di termini popolari, comuni, poco importa se arcaici o moderni. Spesso, nel corso del testo, il poeta si scusa ironicamente con i suoi potenziali critici per aver utilizzato espressioni poco eleganti: ma la sua musa, afferma nell’ultimo capitolo del poema, è «rude ed inselvatichita», e preferisce gli accampamenti dei nomadi agli sfarzi della capitale.
Esercizio:
COMPRENDERE
1. «Dimmi che cos’hai sognato?», chiede Olga a Tatiana appena sveglia. Riassumi in poche righe il sogno di Tatiana.
ANALIZZARE
2. Il sogno di Tatiana somiglia a un incubo: la foresta, la «capanna misera, sepolta / fra i cumuli di neve». Quali caratteristiche di questi luoghi contribuiscono all’atmosfera onirica e al terrore?
3. Quali elementi del sogno sono riconducibili alle fiabe popolari e al folklore?
CONTESTUALIZZARE
4. Nell’età del Romanticismo si accende l’interesse di molti scrittori e studiosi per la fiaba e le tradizioni popolari. Illustra in un testo di 10-15 righe quali autori, e in quali nazioni, manifestano questo interesse.
Stampa- njanja: la balia.
- la mia TanIa: Il romanzo è narrato da una voce in prima persona, che chiama affettuosamente la protagonista «la mia TanIa».
- serica: di seta.
- apparecchiar ... guanciale: gli strani gesti compiuti da Tatiana prima di andare a dormire servivano, secondo la cultura popolare, a evocare gli spiriti che potevano rivelare il futuro.
- vellosa: pelosa.
- cateratta: cascata.
- paggio: giovane servitore.
- repente: di colpo.
- destramente: agilmente.
- vermiglio: rosso.
- Nota dell’autore: «Nelle riviste è stato criticato l’uso delle parole chlop, molv, e top come innovazione infelice. Sono parole di antica origine russa che si trovano nella Fiaba di Boia il principino, in Antiche poesie russe, ecc. Non è permesso togliere la libertà alla nostra ricca e magnifica lingua».
- l’impaura: la spaventa.
- gotto: grosso bicchiere.
- accolta: accolita, compagnia.
- scorta: i compagni di bevuta di Eugenio.
- rostri: becco adunco.
- Vladimiro: Lenski, amico di Eugenio e fidanzato di Olga.